L’unica Sostenibilità possibile: creare valore economico

Dopo oltre un decennio in cui il tema della sostenibilità è stato un mainstream per politici, manager, banchieri, ambientalisti e opinione pubblica, è finalmente arrivato il momento della concretezza e della solidità.
Le vicende di questi ultimi anni, dal cambiamento del contesto geopolitico, alle conseguenze sul sistema industriale di una transizione energetica spesso “insostenibile”, fino a un eccesso regolamentare e una proliferazione normativa, soprattutto nei paesi della Unione Europea, impongono una riflessione importante e urgente per evitare che l’approccio ai temi della sostenibilità rimanga solo una moda passeggera, già sul viale del tramonto.
La necessità della concretezza presuppone tornare ai fondamentali che caratterizzano l’approccio alla gestione sostenibile di impresa, a suo tempo descritti da Porter e Kramer:
- L’obiettivo è la creazione di un valore condiviso, un valore economico aggiuntivo certo e misurabile, che va generato includendo gli aspetti ambientali, sociali e di governance nella strategia e nell’operatività della impresa;
- Il raggiungimento dell’obiettivo è possibile non con precetti ideali ma utilizzando le leve gestionali a disposizione del management, ovvero identificando nuovi prodotti e mercati, migliorando l’efficienza dei processi produttivi e della catena del valore in genere, minimizzando la gestione dei rischi, implementando un sistema di governance adeguato, valorizzando le interrelazioni tra impresa e territorio.
L’approccio alla sostenibilità si origina quindi in un contesto prettamente economico, quello di creazione del valore, generato da un vantaggio competitivo. Ma per fare ciò servono interventi sui processi, sull’innovazione, adottando metriche quali-quantitative rigorose. Non sono sufficienti prescrizioni morali e/o obblighi normativi che spesso sono serviti solo a defocalizzare i manager dal raggiungimento degli obiettivi di impresa o a trovare giustificazioni di comodo per il mancato raggiungimento degli stessi.
La sostenibilità implica inoltre il superamento delle teorie di responsabilità sociale e morale della impresa (CSR), ovvero di supremazia degli interessi etici e morali su quelli economici. Paradossalmente la CSR non è riuscita ad ispirare nella realtà il comportamento delle imprese, anzi, generando una contrapposizione tra finalità economiche e finalità morali, ha creato i presupposti dei grandi scandali aziendali dei primi anni 2000 e della crisi del sistema di impresa. Questo perché la business ethic è uno strumento, un prerequisito, non il modello cui finalizzare la gestione aziendale.
Anche i tanto decantati criteri ESG, che hanno riempito infinte discussioni in pagine di giornali, giornate di convegni e dotte dissertazioni accademiche, non possono essere considerati obiettivo della impresa, ma parametri di riferimento da includere nel sistema di gestione dei rischi della azienda in una prospettiva di creazione del valore di medio lungo termine. Occorre quindi modificare l’approccio verso gli ESG da dogmatico a pragmatico.
La storia della sostenibilità di impresa, soprattutto in Europa, è stata caratterizzata da significativi passi in avanti in termini di conoscenza, consapevolezza delle problematiche e di impostazione di un framework normativo. Ma, nell’Hype Bubble ESG, Stakeholder Capitalism, Sostenibilità, CSR e similari che si è generata, sono emerse due derive, opposte tra di loro, entrambe pericolose e potenzialmente in grado di distruggere la corretta implementazione del percorso verso la sostenibilità:
- la deriva di tipo ideologico, che riduce la sostenibilità a un valore morale, un ideale a cui tendere, un aspetto comunicazionale destinato a scontrarsi con la realtà e la complessità del sistema di impresa. E’ un tipo di approccio che ispira le norme e i comportamenti non in funzione del pragmatismo o della convenienza economica ma a prescindere dalla stessa;
- la deriva ispirata al rispetto della compliance o esclusivamente finalizzata all’ottenimento di certificazioni o rating. E’ un tipo di approccio che fa prevalere la forma sulla sostanza rendendo di fatto inefficace la portata del cambiamento.
Per evitare i pericoli delle derive, è necessario ripartire dall’impresa: conoscere il modello di business e il sistema dei rischi, individuare le aree di intervento sulle variabili ambientali, sociali e di governance su cui l’impresa è in grado di contribuire al miglioramento generando un valore economico per se stessa, definire le aree di intervento in una ottica di pianificazione, misurazione e reporting. In altre parole, bisogna ripartire dai fondamentali della impresa e definire delle azioni in grado di generare un vantaggio competitivo. Questa è l’unica strada possibile per poter continuare a parlare di sostenibilità altrimenti assisteremo a un inesorabile declino di istanze e fattori importanti e a una non corretta valutazione dei rischi aziendali di carattere non finanziario.
La Sostenibilità necessita di competenze e professionalità adeguate; negli scorsi anni abbiamo assistito a una proliferazione di esperti di Sostenibilità o ESG che, talvolta, non avevano la minima conoscenza della complessità della gestione e dei processi di impresa, né tantomeno erano in possesso di competenze manageriali trasversali. La mancanza di tali competenze ha contribuito spesso a indirizzare il percorso della Sostenibilità verso uno delle due derive di cui sopra, in funzione del background culturale o di provenienza dell’esperto o presunto tale.
La responsabilità sui temi della sostenibilità, sia che venga affidata a persone all’interno dell’organizzazione che all’esterno, presuppone competenze tecnico-professionali ma soprattutto manageriali di persone con profonda conoscenza dei processi della impresa: lo impone la complessità e la trasversalità dei problemi da affrontare e la necessità di integrare tali tematiche nel percorso strategico e operativo della impresa.
Dopo anni di mainstream siamo a un bivio fondamentale per lo sviluppo delle tematiche di sostenibilità. Prendere da subito la direzione corretta è necessario per non compromettere quella parte del cammino virtuoso effettuato sino ad ora e non aggravare l’impresa di gravosi adempimenti, spesso poco utili, e di costi significativi